giovedì 10 gennaio 2008

Un Immigrato a casa

Intervista ad un lavoratore cinese, che al contrario delle solite credenze si dimostra molto aperto e “chiaccherone”.
Takumi Gojo è Cinese ha 50 anni, 30 dei quali passati nel nostro paese, più precisamente a Roma. L’ Italia ormai è diventata casa sua. Qui ha trovato un’ottima accoglienza ed un lavoro, gestisce infatti , un emporio in zona Ottavia. Nel nostro incontro, in modo molto disponibile, ci parla di immigrazione, del suo inserimento nella realtà italiana e del rapporto spesso difficile che le comunità cinesi hanno con gli italiani.
Perché è venuto in Italia?
All’ età di vent’anni su consiglio dei miei genitori mi sono trasferito a Roma, dove un mio zio gestiva un’attività.Avendo questo aiuto, avviarmi al lavoro è stato molto più semplice, mentre nel mio paese non avevo grosse opportunià.La mia famiglia era piuttosto povera, e solo grazie a grandi sacrifici nel 1976 dopo un’estenuante viaggio sono riuscito a trasferirmi.
Qual è stato il suo primo impatto con l’Italia?
All’inizio è stato molto difficile soprattutto per via della lingua, problema che ho superato grazie all’aiuto di alcuni miei connazionali. Non è stato affatto facile, tuttavia abituarsi anche ad una mentalità molto più aperta ed “occidentale” rispetto a quella chiusa e provinciale di noi cinesi.
E’ stato difficile avere il permesso di soggiorno?
Quando sono arrivato io era più facile ottenerlo. Eravamo in pochi, oggi invece, gli extracomunitari sono tanti, forse troppi, e i tempi si sono allungati di molto. Per avere il permesso di soggiorno ci vogliono dei mesi.Ho avuto la fortuna di arrivare in Italia in un momento davvero favorevole, penso che in quel periodo l’Italia avesse bisogno di immigrati.
Possiamo definire buono il suo rapporto con le istituzioni italiane e gli uffici pubblici?
Si, ho inoltrato le richieste e fornito le certificazioni necessarie rivolgendomi all’ufficio immigrazione. In questi anni non ho mai riscontrato grossi problemi, se non quelli legati alle procedure burocratiche.Certo è importante arrivare in Italia con un minimo di basi, senza documenti e senza soldi la situazione si fa più complicata, ma questo è un problema che riguarda tutti i paesi.
Lei crede che le difficoltà degli immigrati ad integrarsi dipendano dall’eccessiva diffidenza dei cittadini italiani?
Purtroppo questo pregiudizio esiste ed è il frutto di una troppo superficiale generalizzazione. È vero che ora, rispetto a quando sono arrivato in Italia, c’è una quantità notevolmente maggiore di immigrati.Alcuni di loro non trovando lavoro si danno alla delinquenza, ma queste persone, per lo più clandestini, rappresentano solo una minuscola percentuale.
Le comunità cinesi che vivono in Italia spesso si mostrano chiuse e non propense all’ integrazione, cosa ne pensa?
Sì dispiace dirlo, ma corrisponde a verità. Fino a qualche anno fa eravamo così pochi che non ci si poteva neanche considerare una comunità. Oggi, invece più di mezzo milione di cinesi vive in Italia. Fra questi circa l’80% proviene dalle regioni rurali, con un livello di istruzione molto basso, non adeguato alla nuova realtà. Una volta arrivati qui, continuano a frequentare solo i nostri connazionali, non imparando neanche l’italiano. Vivono in Italia, ma è come se fossero ancora in Cina.

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